Un tranquillo WeekEnd di paura




    - Maledetto temporale - pensò tra sé e sé mentre si accingeva a suonare al campanello.
Prendere la decisione di fargli una sorpresa non sembrava essere stata la migliore delle opzioni quel weekend.
Era bagnata: fradicia, si era mezza persa per trovare l’appartamento, e ora non sapeva nemmeno quale sarebbe stata la sua reazione nel rivederla.
Il tempo che ci stava mettendo per aprire la porta era infinito…
Milioni di pensieri le fluttuavano in testa, l’ottimismo della partenza era stato lavato via dalla pioggia, lasciando spazio a una nuda e fredda paura.
-       A che serve essere coraggiosi se alla fine ho una paura fottuta? E se gli fosse passato anche quel briciolo di interesse? E se interrompo qualcosa di importante? Magari è in dolce compagnia, ma non me ne ha parlato, come potevo saperlo.. e che faccia faccio per mascherare il mio dispiacere.. –
Finalmente sentì la serratura della porta che si apriva.
Alzò lo sguardo e fece la faccia più serena che le poteva venire.
  


-       Il campanello? Sono tutti usciti.. che cazz… -
Era stata una giornata pesante, come tutti i venerdì, dopo l’intera settimana a studiare come matti, il weekend era l’unica cosa di buono che lo attendeva per finire la serata, chi turbava il dolce riposo che si accingeva ad assaporare?
Andò ad aprire la porta, chiunque fosse lo avrebbe liquidato in breve e sarebbe tornato a stendersi sul letto ascoltando musica per svuotare la mente..


Eccolo lì.
Ha lo sguardo di uno a cui si è interrotto qualcosa – Merda, ora faccio finta di niente e me ne vado, tolgo il disturbo, e amici come prima.. no col cazzo, non ci riesco.. –
Lui era così, così bello, così vero, così lì davvero davanti ai suoi occhi.. jeans, t-shirt e piedi nudi.. così come lo aveva lasciato.
-       Eccomi qui. –

Eccola lì.
Lo stupore passò come una luce nei suoi occhi, cosa ci faceva lei davanti alla sua porta, quella - pazza da legare che non ascolta mai quello che le dico, fa sempre di testa sua, è come un uragano, instabile che ti travolge a piccole e grandi dosi, ma non sai mai quale dose aspettarti.. –
Che importava che non avesse ascoltato, che importava delle cose dette era lì e lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Era bellissima, buffa, ma bellissima.
Non un ciuffo di capelli asciutto o in ordine, impregnata così tanto di acqua che a strizzarla si poteva dare vita alle cascate del Niagara.
Era lì, gocce di pioggia scendevano dai capelli e le rigavano il viso, bianco come porcellana, in cui erano racchiusi quei due grandi occhi azzurri, con quel filo di trucco sbavato, e imbarazzati lo fissavano; le rigavano il viso scendendo fino agli angoli della bocca, le sfioravano le labbra aperte nel sorriso di chi ha appena fatto un danno ma ne è fiero.

Istintivamente le diede un bacio.
Era passato così tanto tempo, ma risentire il sapore delle sue labbra azzerò quell’intervallo che li aveva divisi.
Nessuno dei due disse una parola, lui, con un gesto, la invitò ad entrare.
La condusse verso la sua stanza e tutto si fece buio, la corrente era saltata.
Maledetto temporale.
I contorni delle stanze incominciarono a ridisegnarsi davanti ai loro occhi con l’alternarsi dei fulmini.
La fece accomodare dandole modo di spogliarsi per indossare qualcosa di asciutto, mentre lui cercava un paio di candele.

Sotto la luce dello schermo del mac poggiato sulla scrivania iniziò a spogliarsi: via le converse affogate, via i calzini, via la felpa..
Si iniziò a slacciare i jeans, poi incrociò le braccia per levarsi la canottiera.
Era tremendamente sexy bagnata, la retroilluminazione del computer le disegnava il corpo con tratti decisi e accattivanti: le curve del suo seno, della sua pancia, l’arco della sua schiena.
Mentre lei era ignara di essere osservata, il suo corpo lo chiamava, come il canto delle sirene, sussurrava desiderio di essere sfiorato, posseduto, cullato.


Accese le uniche due candele che era riuscito a trovare, le poggiò sul comodino.
Il corpo di lei danzava immobile sotto quelle luci.
Lei iniziò a togliersi i pantaloni, quando lui la fermò.
Le prese deciso la mano, gliela strinse, mentre con l’altro braccio l’avvicinò a se: imprigionandola.
La baciò, forte, togliendole il respiro, senza darle via di fuga.
La sua lingua sfiorò le labbra: morbide.
Ruvido, il delicato accarezzarsi di lingue, poi frenetico, voglioso, arrabbiato.
Lei gli sfilò la maglia, accarezzò il suo corpo, così definito, marmoreo, inizio a slacciargli i pantaloni, non c’era tempo per indugiare, eppure così tanto da assaporare, come quando non mangi il tuo piatto preferito da così tanto tempo che fremi dalla voglia di sbranartelo tutto ma senza perderti il sapore di ogni singolo boccone.

Il desiderio aumentava.
Aumentava la sua rabbia ogni volta che lei lo sfiorava nel spogliarlo.
Era così arrapante.
Dolce e arrapante allo stesso tempo.
Un cocktail micidiale.
La prese di peso e la fece sdraiare sul pavimento, sovrastandola con la sua figura.
Per gustare ogni cosa ci vuole pazienza, e lei, al contrario, ne aveva ben poca, era quindi suo compito rallentare il ritmo.
Le blocco le braccia sopra la testa.
Scese al suo sud ombelico, la baciò, poi con la lingua percorse il suo corpo, tra i seni, il collo, il mento e di nuovo la bocca.
Le prese il viso fra le mani baciandola.
Lei liberata dalla sua morsa cambiò gioco.
Si posizionò sopra di lui, che stranamente la lasciò condurre.
Le mani iniziarono a tastare ogni centimetro del suo busto: un dio greco che si lasciava profanare dal tocco di una mortale.
Incurvò la schiena, poi si piegò sul suo corpo, con la lingua gli sfiorò il capezzolo, scatenando un brivido, lo baciò e lo morse delicatamente.
Si rialzò dominandolo con la sua figura, lo guardò con uno sguardo beffardo e con le mani riprese a spogliarlo senza smettere di guardarlo famelica.
Gli sfilò i pantaloni.
Sfilò via anche le mutande: la piacevole vista di un uomo in erezione la inebriò.
Aveva il potere e lo usava.
Maliziosamente gli diede un bacio, e poi glielo prese in mano.
Lo accarezzava dolcemente, ma quelle carezze ad ogni movimento rilasciavano vibrazioni tutt’altro che dolci.
Alle mani si unì la lingua che ne bagnò la punta.
Il sapore di sale le riempì la bocca, mentre i sensi di lui si fecero pungenti.
Le mani continuavano a far su e giù lungo il tronco del suo pene, mentre la lingua lo baciava, mentre la sua bocca lo accoglieva.
Su giù su giù su giù. Movimenti che lo rendevano incapace di intendere e di volere, se non il volere che quel gioco di mani e di bocca, quel pompino, non finisse mai.
Sarebbe rimasto così succube delle sue cure all’infinito.
Ancora, ancora, ancora.
Emise un mugugnio, il piccolo spasmo che lo prende, accompagnato da un sospiro mentre lei possiede e causa il suo piacere.

Ad un tratto ferma il gioco.
È ora di riprende in mano la situazione, la ribalta, la bacia, con passione, è arrabbiato, così arrabbiato che vuole ricambiare il favore, farla accendere come un falò: punirla.
Le sfila i pantaloni, e ammira il suo corpo nudo che prende forma davanti ai suoi occhi, le strappa via il reggiseno e il perizoma: - maledetta a lei sa come addobbarsi a dovere. –
Senza pietà le morde un capezzolo, chi la fa l’aspetti, e se ne gode il gridolino di dolore misto a piacere.
Gioca con il suo seno mentre le sue mani le accarezzano le grandi labbra, le solletica.
Poi le bacia, le gusta, le mangia, lasciandosi guidare dai suoi ansimi che echeggiano nel silenzio della casa ancora buia e deserta.
Poi la penetra con le dita, aumentando il suo piacere, che inarca la schiena gridando il suo cognome.
Lui la bacia per zittirla, ma compiaciuto rincara la dose facendo oscillare le sue dita dentro di lei.
Sa che lei impazzisce.
È come resuscitare.
Ogni cosa prende vita al suo interno, la scuote, vorrebbe gridare al mondo che lei sta godendo, far tremare le orecchie dei vicini: qualsiasi cosa.
I baci la soffocano, per quanto piacevoli deve far esplodere il suo piacere, si libera e respira affannosamente guardandolo negli occhi e sussurra il suo nome prima di abbandonarsi di nuovo alle sue paradisiache cure.

-       Senza pietà, - è il pensiero che strepita nella sua testa – possiedimi senza pietà. –
Lui torna a baciarla sulle labbra, lei torna a toccarlo.
Sembra una guerra, a chi riesce a far perdere i sensi all’altro.
Ma questa guerra non la vince nessuno, la si combatte, per il capriccio, per il diletto.
Nessuno si arrende, mai.
Si passa solo alla battaglia successiva, ai colpi seguenti e lui sa come assestarli.
Le alza le gambe, le poggia sulle sue vigorose spalle e le blocca con la forza delle sue braccia.
La penetra.
Carne con carne, carne dentro carne.
Una morsa lo prende allo stomaco, la stessa morsa che prendeva sempre lei a ogni suo tocco.
Se ne sorprende, ma si lascia avvolgere dalla sensazione; è finito il momento dei giochetti è ora di fare l’amore.
Dentro di lei la accarezza, la sfiora nelle parti più sensibili del suo corpo, provocando a entrambi piacere.
Non vince nessuno, vincono tutti.
Lui gode di lei mentre lei gode di lui, la bacia fino a farle mancare il respiro.
È un aumentare di desideri, un crescere del ritmo, un rallentare: è il caos.
Il caos più bello del mondo.
Ed era passato troppo tempo.
Troppo tempo da quando era successo l’ultima volta, troppo tempo da quando aveva tremato tra le sue gambe.
Ed ora tutto aver un colore così bello, che non doveva finire mai.

Lei gli passò le unghie lungo la schiena, voleva lasciare il segno del suo passaggio sulla pelle: marchiarlo.
Lui inarcò la schiena per il delicato dolore che lo percorse e le morse il labbro.

Forte batteva il cuore di lui in petto.
Stava annegando in sensazioni che aveva tenuto a bada per tanto tempo ed ora lo travolgevano: li travolgevano.
Sotto la luce tremante delle candele.




Giacevano seminudi sul pavimento, i loro visi uno di fronte all’altra, e i loro corpi lontani.
Si tenevano per mano, niente di più di quello.
Quando lui le prese il viso e la baciò intensamente, come mai prima, più di ogni altra volta.
Non sapeva cosa voleva dire, non sapeva dove portava o cosa sarebbe stato, sapeva solo che il suo cuore era in fiamme.
Era bellissimo.
Ed era tutto grazie a lei: per lei.

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