facciamo un gioco




È una giungla.
La città è una giungla.
E tutti i suoi rumori sono la sua voce, la voce di un bardo che racconta una storia, mille storie, un milione: una per ogni persona che la popola, che la vive.
Le loro stesse voci lungo i marciapiedi le raccontano ad altri e prendono vita scatenando immagini di ricordi o di qualcosa che per la prima volta si sente raccontare.
Sono come un’unica voce che caoticamente prende forma, e devi stare attento e scegliere con precisione quale ascoltare; ai ricordi o ai desideri di chi dare vita.

Fostercare di Burial riempiva la stanza, non lasciando spazio alle voci che come un confuso bisbiglio entravano dalle finestre spalancate.
Sembravano danzare le luci e le ombre che provenivano dalla vita della città.
Lei giaceva sul pavimento mezza nuda.         
La brezza fresca delle prime sere d’autunno la cullava accarezzandole la pelle.
Come se fossero mani: la toccavano.
Se fossero state mani…
Un brivido: un desiderio.
Si accese.


- Facciamo un gioco – disse lei – puoi mordermi in un punto e in punto soltanto. Dove mi morderesti? -
Lui, sommerso dai libri, sorpreso alzò lo sguardo e la guardò, studiò per un secondo la sua giunonica figura.
Le larghe spalle da sportiva, la schiena che curva non toccava per intero il pavimento, il suo sedere sodo, le lunghe gambe incrociate e ancora la curva della sua pancia delicatamente segnata dagli addominali, i suoi seni perfetti e tondi, il suo collo avvolto dai capelli e il suo viso.
 – Interno coscia… - rispose, non smettendo di fissarla.
Lei abbozzò un sorriso malizioso e si morse la parte sinistra del labbro inferiore.
Donna e diavula.
Si alzò e si diresse verso di lui, si sedette a cavalcioni su di lui e lo baciò.
- Mordimi allora! – gli sussurrò.
La sollevò e la sbatté sul tavolo, immobilizzandole le gambe: la morse prima violentemente, punendola, poi più delicatamente, maliziosamente, assaporando il gusto della sua pelle, mentre la presa divenne piano piano un abbraccio.
Lei lo fermò all’improvviso, chiuse le gambe e coi piedi lo rispinse a sedersi sulla sedia, spiazzandolo.
- Puoi baciare un punto e un punto soltanto del mio corpo. Bacialo. –
Era il suo gioco e queste erano le sue regole, ne era intrigato, ma questo non voleva per forza dire che lei avesse tutto il potere.
Iniziò a studiare il suo corpo facendo finta di cercare e scegliere il punto, con le dita le sfiorò prima le labbra, poi il collo, poi attraverso la valle dei suoi seni, mentre con l’altra mano sfiorava le caviglie, il polpaccio, l’esterno della coscia, il sedere.
Giocava con lei, con il suo corpo tutto da baciare, ma già aveva deciso: sfiorò il suo fianco destro con le labbra per poi indugiare e baciare la conca che del fianco forma la vita.
La sua lingua umida la bagnò, provocando in lei una scossa un brivido da cui si lasciò trasportare.
Lingua labbra, lingua labbra. Ruvido e bagnato, morbido e asciutto.
Uno scambio di sensazioni che davano forma a una danza sul palcoscenico che era il suo fianco, mentre con l’altra mano lui possedeva in una stretta l’altro.

Si stava abbandonando sotto i colpi dei suoi baci, e lui sentiva tra le sue mani scorrere il suo piacere delicato.
Lo interruppe.
Di nuovo lo spinse sulla sedia.
Mentre i suoi piedi lo invitavano a stare seduto, si sfilò il perizoma e si slacciò il reggiseno.
Ammirò il suo uomo: un David michelangiolesco, una scultura in carne e ossa.
Ammirò il suo sguardo, così voglioso e dolce.
Allargò le gambe e si lasciò scivolare a cavalcioni su di lui, sorridendo con piacere nel sentire l’eccitazione di lui che copiosa vibrava all’interno dei suoi boxer chiedendo di essere liberata.
Gli levò i boxer, gli prese le braccia e gliele legò dietro la sedia imprigionandolo, usando il reggiseno come corda.
Glielo prese in mano.
Era il suo gioco, e ci giocava, era il suo potere e lo esercitava, lo prese in bocca e si lasciò inebriare dal gusto della sua erezione, mentre la sua lingua lo baciava, mentre la sua bocca lo accoglieva.
Lui assuefatto dal suo giogo, dalle sue mani, dalla sua bocca emise un mugugnio, un piccolo spasmo di piacere lo percorse lungo tutto il corpo.

Lo sfiora con le gambe, con il pube, lentamente lo bacia, lo graffia sul petto, e ancora muove il bacino esprimendo tutto il suo desiderio, ma senza farlo compiere.
Bagnata.

Cambio di gioco.
Le mani di lui si liberano dalla presa del reggiseno.
Le sfiorano la schiena, arrivano decise e le agguantano il culo.
Due dita la penetrano.
Ansima.
Dentro e fuori, ancora dentro, sempre più in profondità, poi ancora fuori, poi dentro e le fa oscillare, vibrare al suo interno causandole un’esplosione di piacere.
Ansima, sempre più forte, irregolare.
I suoi seni fanno su e giù al ritmo lento dei suoi respiri.
Lui li accarezza, li bacia, li disegna con la lingua.
Lei inarca la schiena.
Ancora.
Di più.
Vuole tutto.

La solleva baciandola con passione e la sbatte contro il muro.
Il tempo dei giochi è finito.
Poi di nuovo la spinge contro la finestra, che aperta rumorosamente si schianta in chiusura.
La calda schiena di lei a contatto con il freddo del vetro: condensa.
Lui la possiede con forza e decisione.
La penetra: trema.
Per il piacere, per la sensione che gli da possederla, lei è così maledettamente arrapante. – Donna e diavula. –
Lei è lei, lei è il brivido lungo la schiena.
Dentro fuori, dentro fuori.
Ritmo lento ma deciso che hanno il suono della schiena contro il vetro, che hanno la voce dei suoi gemiti.
Ritmo veloce, avido, che acuisce i sensi.
Lei si lascia andare al piacere della loro pelle al contatto.
Averlo dentro la completa, la eleva: la chiave a cui lei si apre.
Carne contro carne.
Godono.
Lo sfregare della pelle più sensibile la cui meta è l’estremo piacere: l’orgasmo.


Non importa se qualcuno può vederli lì nudi che si concedono ai peccaminosi piaceri della libido, alla lussuria: a se stessi.
Non importa se la città è intrisa di un milione di voci che raccontano storie.
Questa notte la città racconterà a gran voce la loro passione.

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